martedì 30 dicembre 2008

La visita

Una storia post-natalizia di hybris e tombola. No, sul serio.

A. camminava solitario, un motivetto a fior di labbra, verso l'ultima visita natalizia nel paese dei padri.
Né la pioggia mattutina fredda e ostinata, né un cagnetto rabbioso che lo fece sobbalzare abbaiandogli contro, e nemmeno il dover tornare sui suoi passi al trivio contorto dove aveva imboccato la via sbagliata intaccarono il suo buon umore: suonò il campanello ad una porta al pian terreno ed attese, dondolandosi allegro sulle suole e sfilandosi i guanti con cura.
All'interno le tende ricamate si scostarono; un occhio spalancato lo esaminò a lungo.
Fu introdotto nell'ingresso in penombra da una imponente donna in nero, spilloni d'argento appuntiti fra capelli tirati d'un bianco brillante; impassibile e senza un cenno lo guardò togliersi il cappotto e posare l'ombrello in un angolo.
Improvvisamente incerto sul da farsi e vagamente a disagio, sfoderò un mezzo sorriso; si vide parlare nel grande specchio dalla cornice rococò dorata al lato opposto della stanza - la sagoma scura lo sovrastava statuaria.
"Auguri... la signora Tina è in casa? Sono il nipote di..."
"Sì, sta giocando. Intanto gradisce?"
La donna indicò con un ampio gesto teatrale un vassoio d'argento; su di esso erano allineati rugosi biscotti alle mandorle ornati da grossi canditi verdi. Sembravano stantii.
Non voleva, ma ne prese uno per mera cortesia.
"Io non... beh grazie. E potrebbe avvisare la signora..."
"Aspetti qui. Hanno quasi finito" disse voltando appena la testa verso una doppia porta a vetri chiusa.
Senza aggiungere altro, si voltò per tornare in cucina a grandi passi, strofinandosi le mani callose sui fianchi.
"Veramente avrei fretta..."
Entrò in cucina, la porta si richiuse di scatto.
Con un'espressione stranita sul volto e il cappotto in mano, il ragazzo rimase solo.
Cercò di rassegnarsi ad aspettare, nonostante avesse altri programmi: valigie da finire, disposizioni da dare, un aereo da prendere; andava ripetendo l'elenco dettagliato in mente per non dimenticare nulla. Si guardò intorno. Era circondato da antica mobilia ben lucidata, merletti su ogni superficie, cera sul pavimento di marmo grigio. Alle pareti, schiere su schiere di minuscoli ritratti in spesse cornici di legno. Fuori la pioggia scrosciava, e non si sentiva altro rumore. Nell'aria, un tanfo di chiuso e detergenti, nonché un pungente odore di verdure bollite, insinuatosi quando la porta della cucina era stata aperta.
Contemplò impaziente la porta a losanghe di vetro opaco; nessuna sagoma si muoveva, in quella stanza fiocamente illuminata.
Si avvicinò allora, con passi misurati, alla grande specchiera. Una tenuta impeccabile ma discreta. Così diverso dai compaesani. Così diverso il suo spirito - quest'ultima visita e via verso la città! E lassù lei... sentì la sua mano accarezzargli la spalla, sorrise al pensiero del suo imprevedibile estro, ricordò quanto l'avessero divertita e sorpresa i racconti sulle usanze locali di fidanzamento e matrimonio, sui gretti litigi, sulla mentalità chiusa di commercianti, contadini semi-urbanizzati e ottusi arricchiti. Lui rideva, ma in fondo ne era anche spaventato - troppo incombenti, troppo veri.
Dalla stanza accanto proruppe una voce, anziana e affannata.
"E Maria... quella povera donna. Tutta la vita a lavorare, e con che si ritrova? Niente! Tutto i figli si son presi, tutto, e non le hanno lasciato niente..." parlava trascinando le vocali in un antico lamento. "Ma che mala razza sono! Lei è sempre in chiesa, anche malata. Si deve riprendere e..."
"Che disgraziati..." una voce ben più giovane e scandita la sorpassò sgarbatamente. "Quella, Chiara, che ha quarant'anni e va in giro come una ragazzina, e dice che di mestiere dipinge", enfatizzò con disprezzo, "e quell'altra-"
"...Maria... OTTANTUNO", annunciò perentoria la voce piena e matura di un'altra donna.
Stanno semplicemente giocando a tombola.
Si avvicinò alla porta a vetri fermandosi ad un passo: qualcosa lo dissuase. Un curioso gatto grigio tigrato senza coda lo fissava assonnato; era accucciato sotto un'alta credenza, colma di statuette di porcellana. V'erano esposti ometti in miniatura e lucidi animali, soprattutto cani e cagnolini antropomorfizzati - e di sesso femminile, a giudicare dai fiocchetti, dal pizzo, dai tutù, dalle mantelline rosa. Il loro creatore era stato così fedele e coerente nel rappresentare, per portare un esempio, il concetto di bambina-barboncino vestita da francesina, che il risultato era una serie di variopinti fenomeni che avrebbero traumatizzato un bambino sano e fatto inorridire un adulto dotato di gusto. La casa doveva essere a corto di entrambi.
La donna anziana stava quasi cantilenando, nella stanza a fianco. "E Luigi, che ha il mutuo, l'auto da pagare... e mica chiama il fratello, che tiene i concorsi alla..."
La voce più giovane la interruppe, "quello s'è sempre fatto mettere i piedi in testa! Perché deve essere onesto, lui... sì... non ha capito che fanno tutti così - e intanto la figlia non ha nemmeno potuto scegliere la sala che voleva per-"
"SESSANTUNO" concluse la terza donna.
Il ragazzo ridacchiò riconoscendo gli stessi, eterni discorsi e si dedicò a decifrare nella semi-oscurità il contenuto dei ritratti alle pareti. Era una collezione di uomini e donne serissimi, bambini immobili, giovanotti impomatati e signorine con le mani in grembo, che per caratteri diversi risultavano innegabilmente interessanti. Alcuni di un'avvenenza primitiva o semplice, altri di fascino più sottile. D'un tratto trovò la stanza e la casa più rispettabili, come accade quando si scorge profondità o peculiarità dove prima si percepiva squallore. Comunque, si disse che aveva fatto bene a lasciare per ultima la visita ad un'ignota, distante parente: i discorsi dell'altra stanza lo stavano nauseando! Sarebbe partito con sollievo ed una leggerezza ancor maggiore...
Sussultò sentendo una porta richiudersi alle sue spalle.
Un uomo corpulento e baffuto con una vecchia giacca di lana grigia e le scarpe macchiate di fango secco, appena emerso dalla cucina, si diresse verso l'uscita calcando sulla testa un'antiquata coppola nera.
Gli fece un cenno passandogli vicino, "'giorno."
"Salve... auguri... sa mica se la signora Tina..."
L'uomo si fermò e lo squadrò torvo, poi guardò la porta a vetri. "Ah, Tina. Sì... tu a chi appartieni?"
"Sono il nipote di..."
"Lo vuoi un po' di liquore? Prendi, prendi." Raggiunse una vetrinetta, la aprì, colmò e porse un piccolo bicchiere all'ospite, servendosi poi da solo.
"Stamattina", continuò guardando il fondo del bicchierino, "ho portato qua cinquanta - no, aspetta," alzò gli occhi al soffitto e protese il mento, "cinquantacinque chili d'olio da Tordelli... me lo merito un cordiale, che dici?"
Il ragazzo annuì rassegnato e bevve anche lui il liquido denso e scuro. Era forte e speziato, curiosamente gli riportò alla memoria impressioni d'infanzia, vecchi armadi e pellicce. Storse la bocca. Un effluvio disgustoso, di incenso e sudore, salì indesiderato. Per cancellarne il retrogusto morse subito un altro dolcetto - l'uomo approvò annuendo in silenzio.
Mentre masticava pensò a quel nome. "Hanno riaperto? Mio padre mi diceva che erano chiusi dai tempi della guerra. Una volta, in campagna, mi indicò i loro vecchi fondi - perciò me lo ricordo. Mi mancheranno certe cose..."
"Riaprì subito... solo il grande morì in guerra. Sull'Isonzo. Gli altri fratelli lo riaprirono, il frantoio."
L'uomo buttò giù un secondo bicchierino guardandosi intorno circospetto, poi riprese. "E quindi te ne vai. Quanti anni tieni?"
"Ne ho quasi trenta. Sì... vado all'estero."
"Trent'anni - e non ti sei ancora sposato?"
"Quasi trenta. No... ho conosciuto una ragazza fuori. Non è di queste parti."
"Ah."
Davanti all'espressione contrariata ed al suo silenzio, A. non poté che sorridere nervosamente, distogliere lo sguardo ed aspettare.
"Mah, fammene andare", disse finalmente l'uomo portando una mano al cappello; s'affacciò fuori e corse via sotto la pioggia, sbattendosi la porta dietro.
Era ancora solo nella penombra, fra vecchie suppellettili. Cercò con gli occhi il gatto, ma doveva essersi nascosto.
"Eh, Nicoletta... com'è morta... cancro?" s'interrogò lenta l'anziana donna nell'altra stanza, spegnendosi poi in un basso mormorio.
"No, epatite! Con tutti i ragazzi che frequentava... tornava dall'università ogni volta con un amico diverso," rumore di braccialetti o ninnoli scossi, "tutta contenta, quando la madre non poteva permettersi manco-"
"Ictus. VENTISEI" tagliò corto la terza.
Basta, pensò A.
Si diresse verso la porta, deciso a far soltanto gli auguri ed andarsene. Non gli importava più nulla della forma, ormai, solo di partire.
"Buongiorno."
Tolse la mano dal pomello e si voltò. Una ragazzina vestita d'un insolito abito bianco, lungo fino ai piedi, e una cuffietta di cotone sui capelli, lo guardava sospettosa con stretti occhi neri. Sembrava anche lei uscita da una vecchia foto, un album sbiadito.
"...Ciao" rispose esasperato.
Poi indicando la porta a vetri quasi supplicò, "potresti avvisare tua nonna che c'è il nipote di..."
"Non è mia nonna, signore."
La bambina s'avvicinò. Aveva lucide scarpette bianche e uno strano colorito - era terribilmente emaciata. Per la prima volta nella sua vita A. si vide fare un'autentica riverenza, ma solo accennata, come un gesto consumato.
"Siete voi che mi portate al mare oggi? Il mio babbo dice che mi fa bene l'aria di ionio."
"Odio..." all'improvviso la sua tasca emise un suono buffo, e A. estrasse il telefono cellulare per vedere chi gli avesse scritto. "Scusami..."
Gli occhi della piccola si spalancarono, girò fulminea sui tacchi e corse d'un fiato a chiudersi in cucina.
Rimase solo ed incredulo, nelle orecchie l'eco dei rapidi tacchi che scivolavano sul pavimento.
Si grattò il mento. L'assurdità della situazione aveva raggiunto la misura. Che ci faceva ancora lì? Aveva tanto da fare...
Prese un ultimo dolcetto col candito verde - erano davvero buoni - indossò il cappotto e uscì risoluto senza voltarsi.
Le ultime gocce di pioggia scivolavano giù in silenzio dai tetti bassi, il cielo s'andava aprendo. S'avviò respirando profondamente aria fresca e umida.
Camminava quasi saltellando, libero - poi rallentò, smarrito nei pensieri; un vago senso di colpa emerse, ma per quale colpa? Lui era diverso - le origini contavano poco, nulla di quel vecchio mondo lo toccava...
Raggiunse l'auto. Finalmente non pensava a niente, se non al suo futuro - altrove. Fuori. Girò la chiave e partì subito. Aveva valigie da finire...

Nel frattempo, nell'altra stanza, un fuocherello illuminava tre donne in circolo sotto nere mantelle all'uncinetto.
A guardarle da vicino, si sarebbero dette una sola.
L'anziana inveì, gemendo. "E se ne andò via... quei poveri genitori, chi doveva pensare a loro? Dopo tanti sacrifici..."
La giovane schioccò la lingua, superba. "Ma chi si credeva di essere... morì in un incidente, no?"
La terza annuì e tagliò di netto l'esile filo. "VENTINOVE. Ih, tombola."

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