lunedì 1 dicembre 2008

Spiegelwaltz

Last Exit: buco ronzante ed intermittente per solitari falliti e ronin dell’ultima ora.
Una goccia aveva percorso il contorno irregolare del mio volto incontrando scarso attrito, dalla tempia al mento sbarbato di fresco e trattato generosamente con discreta colonia da primo appuntamento. Fianchi larghi su tacchi d’acciaio, lei si era dimostrata all’altezza. Troppo.
La wakizashi sotto il tavolino, piazzata per lei: quando le sue dita la estrassero con voluttà, precise e pronte come su calde chiavi di sassofono, la mia goccia di sudore rinunciò alla tensione liquida e si tuffò.
Un secondo all’impatto con la moquette ispida del più buio e squallido angolo dell’Exit.
Lo stesso secondo affinché il vecchio barista sordo a tutto tranne che al respiro di una lama estratta si voltasse verso di me a mostrare il ghigno rugoso da carogna; lo specchio ossidato alle sue spalle era doppio vetro aperto sul buio fondale oceanico, dove pesci piccoli contemplavano i riflessi smorti dei loro calici e mani di plastica e metallo strisciavano sul tavolo trasferendo denaro, più sicuro della Visa, più diretto per il Paradiso.
Nelle lenti a specchio posate sul nostro tavolo, fra due alti bicchieri ghiacciati che riversavano impazienti bianco fumo, il suo collo apparve chiaro nella torsione invocata dall’estrazione rapida e dall’arco disegnato con impugnatura a martello nell’aria alla mia destra.
Mancina, ovviamente.
La lama brevemente sospesa per i miei occhi, per i miei occhi soltanto, leggermente inclinata, ma nella sua ondulata grazia temprata non si rifletteva alcuna paura.
La goccia oltrepassò la plastica nera del tavolo e riflessa nel suo fuoco, espansa in ogni direzione fino all’infinito, la mia Luger posata sulla coscia sputò piombo incamiciato.
Nelle lenti, il collo scivolò come sipario lasciando il posto ad una "O" sgomenta, ad un sopracciglio tirato e contorto e poi nulla, se non un fil di fumo dal nuovo buco nella parete.
Pluk.
La goccia invisibile fu presto sommersa dal rosso viscoso d’arteria. Raccolsi i suoi occhiali dal tavolo, mi ci specchiai, sfiorandomi il mento, “hai ragione”, sussurrai, “ho dimenticato di radermi questo punto.”

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