giovedì 4 dicembre 2008

Crash!


Spettacolo fuori programma sotto le torri: il Collettivo Crash protesta per il secondo sgombero in pochi giorni, bloccando il traffico del centro di Bologna. Diffonde messaggi sul diritto agli spazi pubblici, reclamando proprietà inutilizzate, e slogan contro la polizia e il comune; grida al megafono della crisi economica che non dovremmo essere noi a pagare, con postilla ironica sul fatto che il suo segno non siano le lucine di Natale spente in via Zamboni.


Una lunga fila di autobus fermi e spenti, passeggeri rassegnati sui sedili in penombra, curiosi sul marciapiede che si sporgono senza timore, ciclisti felici di poter scivolare oltre gli schieramenti compatti, luminarie riflesse sui caschi azzurri allineati; poi il contatto, un fumogeno tinge di rosso le divise e lo stretto nodo di cinque strade si riempie di fumo e scoppi di petardi dopo timide parabole, una bottiglia s'infrange fra i piedi puntati, un secondo di spavento e cinque passi indietro della folla improvvisamente nervosa, finché la voglia di guardare torna spavalda; a momenti sembra ci siano più fotografi che agenti in divisa. I rinforzi, nelle camionette, si tengono a distanza e si avvicinano in una tattica che stento a capire, poco avvezzo alle manifestazioni.

E' un piccolo circo apparentemente inoffensivo, quello a cui assisto; un ring di spettatori e due gruppi dal ruolo assegnato, non scritto ma immutabile, che si fronteggiano perché tale è la prassi. Spero di sbagliarmi, ma mi chiedo: cambierebbe qualcosa se a protestare fosse chi ha perso e perderà il lavoro per la crisi? Sfilerebbe nell'indifferenza e nel fastidio? Esiste ancora una forma di protesta utile, non facilmente incastrabile nella giostra che ci trascina in tondo da decenni, dissenso, assimilazione, e via un altro giro di vite?

Mi impressiona l'analogia pretestuosa che la mia mente costruisce, mentre mi sposto per una prospettiva migliore.
Si tratta, concretamente, di un gruppo di ragazzi che protesta per la solerzia con cui gli spazi occupati vengono reclamati nonché, immagina l'animo candido che mi ritrovo, per ottenere luoghi in cui esercitare i diritti costituzionali all'associazione ed alla riunione. Eppure insistono sui costi delle case e degli affitti, sulla recessione e le sue conseguenze: ne sono davvero colpiti, o si tratta di un argomento per attirare l'attenzione dell'uomo della strada (notoriamente di durata nulla, anche perché probabilmente non esiste alcun "uomo della strada")? Non lo so: la crisi economica sbandierata, la polizia, il muro contro muro, la strada deserta dietro di me... per un attimo, lo spettro mi sfiora, e mi sorprendo a pensare che il mio bel cappotto non è abbastanza caldo, né imbottito.

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