venerdì 5 dicembre 2008

Cerco casa a Milano - The Horror, Pt. 1

E per esorcizzare l'orrore sento l'impulso di raccontare, sotto una patina di falsità che ne preservi la fedeltà, cosa ho visto negli anni passati cercando una stanza in affitto a Milano, dove una sana legge della domanda e dell'estorsione rende una piacevole passeggiata ricca di aneddoti la ricerca di una casa a settembre - un po' come attraversare la Valle della morte con una scorta di patatine al bacon e tabasco.

Purtroppo il mio resoconto sarà irrimediabilmente inficiato da un handicap che ho dalla nascita: per una (credo) moderna versione dell'invidia del pene applicata ad un'intera classe economica, quella dei locatori, se ne avete uno non chiamate nemmeno. I ragazzi lasciano peli in giro, sarà questo.

* * *

Pratica n°1
In periferia, ma vicino alla metropolitana. Abbastanza comodo.
Il casermone grigio con tendoni verdi svolazzanti ed una selva di antenne sparate contro il cielo plumbeo si erge a ridosso di una strada incredibilmente trafficata, percorsa da migliaia di pendolari ogni mattina e sera - se le teorie sull'energia psichica fossero vere, le bestemmie ed il malumore per il traffico sarebbero sufficienti ad evocare sul tetto del palazzo senza ulteriori sacrifici, formule troppo complicate o prodigi fanta-informatici, Gozer il Gozeriano, Nyarlathotep il Caos strisciante e Kelly LeBrock.
Incontro all'angolo il proprietario, un omone la cui esuberanza sudata è contenuta a malapena dalla giacca viola e che mi squadra con la competenza di chi si ispira un po' a Bobby Sixkiller , un po' ad un generico venditore americano di auto usate, che abbia sostituito il sorriso finto con l'internazionalmente apprezzata attitudine locale al mostrare fretta perché il tempo è danè (ugualmente finta).
Saliamo in ascensore e facciamo un primo giro dell'appartamento, vecchiotto e stantio come quasi tutte le case in affitto. Questo, anzi, non è nemmeno così male: solo vagamente squallido e con una dotazione di elettrodomestici che qualcuno avrebbe dovuto donare allo sforzo bellico 70 anni fa, e con un'efficienza energetica di classe "omega".
Il gesticolante proprietario gira per casa aprendo le finestre, guardandomi come un seviziatore di pulcini quando non riesco a nascondere il disappunto per qualcosa. Mi spiega le condizioni, illustra i vantaggi della prestigiosa posizione e chiede informazioni su di me. Mai avuto problemi di referenze - se non fossi così pignolo ed estremamente antipatico al primo sguardo (e tutti quelli successivi, con una lieve controtendenza nella terza settimana), troverei casa con uno schiocco delle dita. E' che non so schioccare le dita.
L'appartamento è all'ultimo piano. Suona, ed è, sinistro: esposizione ai venti, acqua calda che arriva su con l'indolenza e l'incostanza di un gatto satollo, annunciandosi col tipico agonizzante rantolo di tubature d'epoca (l'epoca in cui le costruivano male). Le finestre di legno consumato sono così invitanti per gli spifferi che, più che correnti d'aria, vi si potrebbe far passare senza aprirle le gomene del Victoria e giocare, dietro gli opachi vetri del castello di poppa, a fingersi Magellano agli antipodi con lo sguardo perso all'orizzonte.
Confronto il proprietario, che ha poggiato la giacca sullo schienale di una sedia nel tipico soggiorno della nonna (dopo che avidi nipoti si sono spartiti il meglio o l'hanno gettato via pur di non consegnarlo gratuitamente a quella zoccola di mia cuggina che ha sparlato del mio vestito di nozze bianco quando io mi alzavo alle sette meno un quarto per dar l'acqua ai gerani ecc. ecc.), riguardo all'aspetto economico e, soprattutto, i difetti più evidenti. Mentre parlo, raggiungo la conclusione che non sia solo la sua pelle a traspirare, ma il suo intero set di abiti a sudare. La giacca sembra ancora impegnata in un processo umido e fisiologico, ondeggiando mollemente nell'afa estiva.
Sbotta infastidito ("sto perdendo tempo", sembra dire la mano grassoccia che svolazza), "gli infissi non sono nuovi, ma qui prima c'era una famiglia sudamericana... e non si sono mai lamentati!"
Nel mio cervello, diorama natalizio di famiglia boliviana incastonata in cubo di ghiaccio - ghigno paralizzato sui regali profili andini - avambraccio del paterfamiliae libero di azionare il telecomando.
Passo al sodo e, non avendo visto l'ombra di un telefono, chiedo innocentemente ed in maniera del tutto naturale, stupido io:
"C'è l'abbonamento Telecom?"
Scuote la testa.
"Internet?"
Mi guarda stupito: "Interchèèè?"
E'tuttounsognoE'tuttounsognoE'tuttounsogno, continuavo a ripetermi pochi secondi dopo alzando il passo in direzione della metropolitana.

* * *

Un intermezzo ilare durante le ricerche di annunci su Internet:
"Ampio divano ad 'L', 10€ a notte, in condivisione. Disponibile il lato corto."

Sì, a Milàn subaffittano pezzi di divano. Rideaux.
Per ora.

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