lunedì 1 dicembre 2008

Piume

Considerate, se v'intriga esplorare lo spettro delle affezioni umane, il caso di Alberto.
Le penne ed i piumaggi erano il fulcro dei suoi sogni e delle sue veglie pensose. Iniziò -- meglio, si risvegliò con la visione, in un dicembre nero, della Vestizione della sposa. I gesti fiamminghi in un contesto alieno, le rotondità bianche sensuali, i bitorzoli demoniaci. E sopra tutto, il manto nuziale dai dettagli esplosivi, fitto, ritualmente gravante, gravido di conseguenze. Da allora, déjà vu, incontri, eventi, di cui ben pochi strettamente legati alle piume, ma quelli che lo erano combaciavano mirabilmente con la sua percepita follia tanto da indurlo ulteriormente ad abbandonarvisi.

Si badi, Alfredo non nutriva alcuna passione per i volatili. Al contrario, lo ripugnavano, li trovava sporchi, spigolosi, raschianti, non poteva fare a meno di pensare ai loro luridi orifizi. Erano le idee, le cose, le persone rivestite di piume ad attirarlo inesorabilmente: il serico scorrere dei polpastrelli sulle barbe impercettibili; il senso di frattura in potenza, invertendo il moto, delle delicate fessure; la lucida trama, col trompe l'oeil fenotipico; l'odore da singulto inarrestabile di filamenti che stimolano le narici.
Studiò freneticamente le piume sotto l'aspetto scientifico, nella speranza che la fredda dissezione eliminasse l'incanto struggente e l'ossessiva ricerca del contatto, trattenuta a lungo fino ai pochi momenti d'estasi alla visione di un dettaglio arruffato, al solletico diffuso. Non ottenne altro che un inasprimento della sua condizione. Perse nello scherno e nell'oblio i suoi pochi affetti.

La vide per la prima volta in un tetro locale di periferia. Notte dopo notte, la guardava esibirsi. La maschera sontuosa, imponente, era un ventaglio d'occhi, un nido per grovigli inestricabili di pensieri d'azzardo impenitente, in cui s'affacciavano due lucidi, neri cucchiai ripieni di promesse nascoste. Riuscì ad ottenere un invito nel suo camerino, aspettò con il cono di rose fra paesaggi di compensato ed operai sudati. Lei lo accolse con i paramenti indosso; nei suoi grandi occhi neri trovò impossibile specchiarsi, rapito dall'avvolgente mélange assassino. Scostò la maschera traendo uno stanco sospiro, la sua minuscola testa ed i capelli tirati stonavano con il lungo corpo ammantato in rosso filare piumato, curvo sul seno, pendente dai fianchi.

Cercò di spiegare, quando gli strapparono dalle mani la maschera insanguinata, che soffriva di una rarissima malattia, la condizione di Leda. Che dalle scissure del suo cervello la cheratina s'insinuava pungente attraverso la corteccia, la rachide aveva facilmente ragione della delicata aracnoide, lambiva la dura madre estrudendo barbe e barbule umide, che gli occludevano il cranio senza sfogo. Non lo ascoltarono: la mia testimonianza su Arturo, scritta in rugginoso inchiostro con penna della mia stessa testa, rimanga non per la cronaca, ma per la comprensione.

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